di Giulio Zangrandi
L’economia americana rallenta nel quarto trimestre ma meno delle attese: +3,3%. E sull’intero 2023 stupisce con un +2,5%. Merito di consumi resilienti ma anche di un mercato del lavoro solido. Gestori sempre più convinti del soft landing. Ma Powell avrà più margini per rimanere hawkish. Il che non è per forza un male
Dopo la revisione al ribasso che ha contrassegnato il terzo trimestre, il Pil statunitense ha archiviato anche l’ultimo quarto di anno con un risultato inatteso: +3,3%, in rallentamento dal precedente +4,9% ma ben al di sopra del 2% sui cui avevano scommesso gli analisti. Un dato che porta la crescita dell’intero 2023 al 2,5% e avvicina l’ipotesi soft landing. Anche se concede alla Federal Reserve (Fed) più margini per posticipare il taglio dei tassi. Ipotesi che, secondo i gestori, è ora non solo più probabile ma anche auspicabile in chiave inflazione.
Consumi e lavoro tengono più del previsto
Secondo il rapporto stilato dal Dipartimento del Commercio, a determinare quello che è il tasso di crescita trimestrale più lento degli ultimi due anni è stato il rallentamento al 2,8% delle spese per consumi. Proprio questa grandezza, unite a un spesa pubblica in aumento del 3,7% e a investimenti privati cresciuti del 2,1%, è però valsa una performance su base annua come nessuno si sarebbe potuto aspettare. Una riconferma di due fenomeni ormai divenuti una costante per le performance economiche messe a segno da Washinton: le riserve di liquidità accumulate dai cittadini durante la pandemia sono lontane dall’esaurirsi e il mercato del lavoro sta resistendo alla stretta monetaria della Fed in termini sia di salari sia di nuovi impieghi. Con numeri simili, sembra dunque profilarsi nell’orizzonte degli States uno scenario di soft landing che torna ad alimentare i dubbi sulle mosse di Jerome Powell e colleghi sul costo del denaro.
Per i gestori la Fed taglierà meno. E non è per forza un male
Tra i gestori più convinti del fatto che la Fed potrà sfruttare il dato per assumere una posizione più hawkish, c’è Ashwin Alankar. Secondo l’esperto, che è responsabile dell’asset allocation globale di Janus Henderson, i numeri mostrano anche che la sensibilità dei cittadini all'aumento dei tassi si è attenuata. “Le famiglie”, sostiene, “hanno bloccato i costi di finanziamento dei mutui ai minimi storici durante il Covid e ora hanno poca esposizione ai tassi variabili”, osserva. E il fatto che la banca centrale Usa possa prendersela più comoda nell’alleggerire il costo del denaro è per il gestore non solo positivo ma perfino auspicabile. “Finché la Fed manterrà un atteggiamento cauto nell’allentare la stretta monetaria, una seconda ondata d'inflazione sarà tenuta a bada”, afferma. Poi conclude: “Una politica più restrittiva per un periodo più lungo è, ironicamente, ciò di cui dovremmo rallegrarci”.
Su un linea simile si colloca anche Dan North, economista senior di Allianz (ETR:ALVG) Trade Americas. “La Fed è finora riuscita a strangolare l'inflazione senza strangolare l'economia”, afferma l’esperto. Che però sottolinea come gli aumenti dei tassi stiano ancora facendo il loro corso nell'economia. Da qu la sua previsione per il 2024, ossia “una crescita lenta che poco a che fare con la parola recessione”.
Per Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte, il dato relativo al Pil americano avrà importanti ripercussioni anche sulla traiettoria di politica monetaria della Banca centrale europea. Dal suon punto di vista, infatti, “l’ipotesi di un trend dei tassi discendente nell’anno rimane confermata” ma “potrebbero esserci temporanee fasi di rialzo guidate dagli Usa”. Prima tra tutte, quella che rischia di verificarsi di qui a fine febbraio.
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